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Domenico Starnone, i lacci e la notte

Quasi tutti i romanzi di Domenico Starnone che ho letto, li ho letti di notte. Tutti, in una sola notte. Non è curioso?

Anche Autobiografia erotica di Aristide Gambía, – che, voglio dire, conta 460 pagine, – lo lessi senza mai fermarmi, in una notte di insonnia, qualche anno fa. O forse l’insonnia mi prese per la lettura.

Starnone è l’unico autore italiano contemporaneo che riesce a far accadere questo: farmi scordare il sonno, la sete, la fame, le urgenze degli sfinteri, la vita che scorre fuori dalle pagine.

Quando spengo la luce della lampada, dopo ore di lettura e quando ormai si avvicina l’alba, ho provato l’intero assortimento di emozioni e sentimenti umani, e mi sento in raro equilibrio tra tutti.
Ieri notte è successo di nuovo con Lacci, che no, non è un suo libro recente ma a me è capitato adesso.

Io qualche libro, nella mia vita finora, l’ho letto. Negli ultimi anni, poi, mi sono dedicata quasi con ossessione alla narrativa italiana contemporanea – spesso trascurando altre letture che mi avrebbero fatto del bene, suggerito nuove prospettive.

Dunque ho un’idea abbastanza chiara, precisa e meditata, quando dico che Domenico Starnone è, secondo me, il più bravo dei romanzieri italiani viventi. Una buona sorte per chi legge, un maestro necessario per chi scrive, un patrimonio per tutti. Leggetelo.

E adesso è domenica mattina e vado a dormire.

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