Camminare nei boschi, in Abruzzo
Il mio amore per il bosco è fresco.
L’estate scorsa, avevo deciso di riservare gli ultimi quattro giorni delle mie vacanze di agosto a un viaggio in Abruzzo. Io sono abruzzese e abito in Abruzzo, ma volevo visitare l’Abruzzo che non conoscevo, quello del Parco Nazionale, perché il mio Abruzzo, invece, è sul mare e confina con le Marche: è un altro Abruzzo. Chi è abruzzese di mare, e di confine, sa cosa voglio dire e chi è abruzzese di montagna apprezzerà l’attenzione alla diversità, che è una diversità in tutto: di natura, lingua, cibo, abitudini, tradizioni.
Lo spunto per cominciare la mia esplorazione di allora proveniva dai miei interessi di lettura e nasceva a Pescasseroli (AQ), dove ogni anno c’è “Pescasseroli legge“, la rassegna di libri diretta da Dacia Maraini, e dove il 19 agosto 2021 ci sarebbe stata Donatella Di Pietrantonio a parlare del suo romanzo Borgo Sud (Einaudi, 2020). Per farmi muovere, bisogna mettermi un libro sotto al naso, come si dice della carota davanti al muso dell’asino. Intorno a questa meta, quindi, avevo costruito l’itinerario di viaggio: dove soggiornare, luoghi da visitare, posti in cui mangiare, cose da fare.
A partire da un libro, insomma, l’anno scorso io e Volpini siamo finiti a fare tre escursioni guidate: i Boschi della Difesa di Pescasseroli, la Riserva Naturale della Camosciara e un’escursione al tramonto sul Lago di Barrea. Escursionismo facile, per principianti, un trekking leggero, “adatto anche a famiglie con bambini” (le famiglie con bambini vengono sempre tirate in ballo quando bisogna comprovare semplicità, agio, accessibilità e inclusività di alcune esperienze potenzialmente faticose).
Innamorarsi di una faggeta, a quarant’anni
Nell’agosto del 2021, ai Boschi della Difesa di Pescasseroli, mi sono innamorata della faggeta.
E anche: dell’odore che c’è nel bosco dopo la pioggia. Del fresco che c’è all’ombra di un faggio di 400 anni, e dei segreti secolari che custodisce e sopporta con dignità. Del tappeto soffice di terra, erba e foglie, e del suono gentile che fa quando ci cammini sopra. Dei muschi ricchi e umidi sui tronchi. Del blu mirtillo dei fiori di eringio (Eryngium giganteum L.). Della poiana (Buteo buteo L.), che – nei racconti della nostra guida Andrea – volteggia come un vinile 45 giri, a differenza dell’aquila reale che è un 33 giri. Degli arbusti di rosa canina incontrati e contemplati lungo un sentiero a Barrea, e di quanta pazienza ci vuole – ci ha raccontato guida Jessica, un’altra guida – per raccoglierne i frutti e ricavarne appena qualche cucchiaiata di marmellata. Della vita primordiale che palpita da ogni tono di verde, fino alla terra scura, che più è scura e più significa “Sto bene”.
Il faggio è il mio albero: secolare, saggio, imponente, nodoso e massiccio, accogliente, casa e riparo di innumerevoli micro-vite.
La Faggeta Vetusta di Selva Moricento
L’anno scorso avrei voluto vedere anche la Faggeta Vetusta di Selva Moricento, nella Valle della Cicerana.
La bella guida Lonely Planet, che avevo comprato fresca fresca di stampa (giugno 2021), me l’aveva presentata così:
“In un’area di oltre 1000 ettari che si estende tra i comuni di Lecce nei Marsi, Opi, Pescasseroli e Villavallelonga ci sono cinque nuclei di faggete vetuste che nel 2017 sono entrate a far parte del patrimonio UNESCO nel contesto delle foreste primordiali dei faggi dei Carpazi e di altre regioni d’Europa. Le faggete abruzzesi di Selva Moricento, Cacciagrande e Valle Jancino in Val Fondillo, Coppo del Principe e Coppo del Morto e Val Cervara risalgono a oltre 500 anni fa e sono la prima realtà della regione ad aver ricevuto la tutela dell’UNESCO”.
Guida Lonely Planet, Abruzzo e Molise [autori: Remo Carulli, Denis Falconieri, Luigi Farrauto], EDT, 2021, p. 222
Ero rimasta folgorata. “Questo posto è in Abruzzo, – mi dicevo, – nella regione in cui sono nata e in cui abito oggi, e io non ci sono mai andata, non ne sapevo niente, vergogna”.
Naturalmente avevo tormentato Volpini per andarci insieme: “Non possiamo rinunciare alla Faggeta Vetusta!”. La realtà, però, è sempre meno meravigliosa del mondo fatato che ho in testa. Con le prime tre escursioni, i nostri corpi pigri avevamo già cumulato una quindicina di chilometri di cammino su sentieri di montagna, in due giorni consecutivi. Noi, di solito, prendiamo la macchina per i 2 chilometri che ci separano dalla spiaggia.
Volpini, dunque, aveva attaccato tutta la sua migliore serie di proteste, composta perlopiù di interrogative indirette: “Non so se hai presente che il giorno dopo ricominciamo a lavorare! Non so se ti rendi conto che hai programmato due escursioni il venerdì e un’escursione il sabato, e che noi non siamo gente abituata. Non so se hai capito che quest’altra faccenda qui della Faggeta dura tutta la mattina della domenica, che al pomeriggio dobbiamo ripartire per tornare a casa, che è l’ultimo giorno di ferie e che la mattina dopo è lunedì”. Infine, aveva assestato l’interrogativa indiretta ritenuta più decisiva: “Ah, scusa, dimenticavo un dettaglio: non so se ti ricordi che io sono cardiopatico”.
Insomma, l’anno scorso alla Faggeta Vetusta non siamo andati. Quest’anno, però, sì.
Un luogo straordinario
L’escursione che ho scelto è quella guidata da Michela Di Paolo, accompagnatrice di media montagna di Kalipé Mountain Love.
È un percorso di circa 10 km tra i sentieri T1 e T5, dislivello di 300 metri, un paio di ore e più all’andata e un’oretta e mezza al ritorno: una buona passeggiata, tutto sommato adatta anche a chi, come noi due, non ha gambe allenate. Ma ci vuole parecchio buonumore per affrontarla.
Pranzo all’Ecorifugio a base di fette di polenta con sugo e salsiccia, ripassate in padella e belle croccantine: la più buona polenta che io abbia mai mangiato.
È un luogo straordinario. Aria fresca e pulita da imbottigliare e portare a casa. Abbondanza di rosa canina, tasso barbasso (le cui grosse foglie, morbidissime e resistenti, erano la carta igienica dei pastori), ginepri, cardi, funghi, more, calcatreppole ametistine, muschi, licheni, e orme fresche fresche di lupo: il mio paese delle meraviglie.
Camminare in un bosco è un’attività da fare almeno una volta all’anno, e da consigliare a chi si ama.