Leggere “L’amica geniale” in quarantena
Leggere “L’amica geniale” in questi miei primi giorni di quarantena, con gli occhi ancora lucidi della febbre che mi ha annebbiato la testa, è un’esperienza memorabile.
Una cosa del genere mi è capitata soltanto con i romanzi di John Fante vent’anni fa: anche allora avevo una febbre e deliravo a letto, ma ero giovane, studiavo all’università e vivevo in una mansarda.
Oggi mi trovo in uno stato simile all’ubriachezza: questo volumetto sacro e compatto, con le sue 1.717 pagine fitte e sottili, me lo porto in giro per casa come una bottiglia, ne ripeto frasi traballando e biascicando, ogni tanto mi ci riattacco. Mi viene da piangere, mi viene da ridere, può essere nello stesso momento.
Non posso fare a meno di Lenù. Adoro quel suo sguardo sulle cose che mi è così dolorosamente familiare; vorrei dirle “brava, Lenuccia” e anche “stai tranquilla, non avere paura”, invece non dico niente e la seguo a labbra strette.
Ce l’ho con Lila. Vorrei afferrarla per i capelli, schiaffeggiarla con cattiveria autentica, darle tutte le mazzate che non ho dato alle Lila della mia vita.
Nino: cretino.
I maschi bovini e criminali, le femmine perfide e disgraziate del rione: come sono solidi nella loro miseria. Vorrei dare, invece, una carezza silenziosa ad Antonio, e i farmaci giusti. Davanti a Enzo, annuisco con le mani in tasca, colma di ammirazione. Ho un debole per i ruoli minori che dicono molto con poco.
Ho appena finito il secondo dei quattro libri, tante cose non so ancora e molte cose possono ancora cambiare, io intanto ho perso la ragione, la vista e, provvisoriamente, anche la certificazione verde.
Aggiornamento del 27/03/2022
Sono al quarto e ultimo libro de’ “L’amica geniale” – (che ore sono, che giorno è? Già domenica sera?).
Su Lenù e Lila, non ho più le idee tanto chiare come mi sembravano pochi giorni fa, quando stavo finendo il secondo volume. Una raffica di schiaffi, adesso, la darei a tutte e due.
E tuttavia, lasciarle mi sarà difficilissimo.