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Hidden Valley Road, di Robert Kolker [“… ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo”]

Non ricordo come mi sono imbattuta in Hidden Valley Road. È probabile che ne abbia saputo da Instagram, dove seguo le attività di case editrici e numerosi profili di persone che, come me, amano i libri. Salvo in una cartella i post che parlano di libri che mi incuriosiscono, ma soprattutto ho un quadernetto dove scrivo a mano tutti i titoli che voglio leggere (solo fra settembre e ottobre ne ho elencati una quarantina).

Hidden Valley Road era nella mia lista già da qualche mese, quando il libro è uscito in Italia a marzo di quest’anno.

È stata una lettura oltremodo insolita per me, lettrice soprattutto di romanzi. Mi piace, qualche volta, uscire dalla mia zona di comfort, leggere cose lontane dalle mie abitudini, anche libri che fino a qualche tempo fa non avrei considerato. Ma, oltre a questo, c’è che il tema del libro mi sta molto a cuore: la salute mentale in famiglia.

Robert Kolker, Hidden Valley Road. Nella mente di una famiglia americana

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[Titolo originale: Hidden Valley Road. Inside the Mind of an American Family, traduzione dall’inglese di Silvia Rota Sperti, Feltrinelli, 2022, pp. 448]

In breve

Stati Uniti, anni ’50. La famiglia Galvin rincorre il sogno americano e vuole fare grandi e nobili cose (soprattutto, vuole fare tanti figli). Il padre Don ha una brillante carriera nella marina militare e nutre ambizioni accademiche; la madre Mimi, invece, è a casa a crescere i figli. Che sono dodici.

Dodici figli – dieci maschi e due femmine – che Mimi mette gioiosamente al mondo tra il 1945 e il 1965, passando quindi buona parte della sua vita a rimanere incinta, gestare, partorire, allattare, svezzare e allevare. Tutti i giovani Galvin sono in ottima salute fisica, forti, belli, intelligenti, creativi, atletici, eccellenti chi nello sport, chi nella musica, chi in tutto quello che fa. Un trionfo quasi incredibile, insomma. E infatti.

Sei dei dodici si ammalano di schizofrenia, uno dopo l’altro. La famiglia Galvin compie la sua imprevista discesa negli abissi della psicosi e diventa la famiglia più disfunzionale d’America (e, forse, del mondo).


Hidden Valley Road: “un giallo clinico”?

Il risvolto di copertina dell’edizione italiana riporta le parole di Oprah Winfrey, secondo cui Hidden Valley Road «si legge come un giallo clinico». Oprah Winfrey è la conduttrice televisiva che nel 2020, all’uscita di Hidden Vally Road negli Stati Uniti, lo ha selezionato e presentato nel suo Book Club “CBS This Morning“.

Non sono d’accordo con questa suggestione. Hidden Valley Road non è – né si legge come – un giallo. Di clinico, c’è senz’altro parecchio. Per dire cos’è o non è questo libro del giornalista investigativo Robert Kolker, io mi affiderei piuttosto alla sua nota sulle fonti, in fondo al testo, visto che c’è:

«Hidden Valley Road è un’opera di nonfiction basata su centinaia di ore di interviste fra l’autore e ciascun membro vivente della famiglia Galvin […], così come decine di amici, vicini di casa, insegnanti, terapeuti, caregiver, colleghi, parenti e ricercatori. Nessuna scena è stata inventata. Tutti i dialoghi sono stati sentiti in prima persona o registrati dall’autore, o si basano su resoconti pubblicati o testimonianze di persone che erano presenti all’epoca.

Per ricostruire la storia di questa famiglia sono state utilizzate risorse aggiuntive, tra cui soprattutto lunghe interviste con gli studiosi di schizofrenia Lynn DeLisi, Robert Freedman e Stefan McDonough; tutte le cartelle cliniche disponibili dei fratelli Galvin e di Don Galvin; …»

[pag. 419]

Hidden Valley Road: un reportage onesto

«Giallo» un tubo, insomma. Si può leggere, semmai, come un reportage. Hidden Valley Road è la ricostruzione poderosa – scritta col piglio concreto e documentaristico di un giornalista e avvalorata da cinque pagine fitte di bibliografia di studi psichiatrici – di un caso di cronaca diventato un caso di studio internazionale nella comunità scientifica.

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Fonte immagine: rivistastudio.com/hidden-valley-road-libro/

Il lavoro di Kolker alterna capitoli centrati sulla storia della famiglia Galvin a capitoli dedicati alla storia della psichiatria. È quindi sia una cronaca meticolosa dell’epopea di una famiglia straordinaria, ma è anche un voluminoso approfondimento sulla malattia mentale e sull’evoluzione della scienza. La scelta di dipanare questo doppio filo di scrittura – i Galvin e la psichiatria – è efficace, perché riesce a inquadrare la storia privata di una famiglia nella Storia pubblica, enorme, dell’enigma clinico della schizofrenia.

Mancano – e meno male – il sentimentalismo, il pietismo, il gusto morboso verso quel freakshow che, di solito, piace a molti. C’è invece uno sguardo imparziale, anche piuttosto freddo – clinico, appunto – su una famiglia a cui succedono cose atroci e sulla scienza che arranca per capirle e trovare una cura.

Alcune domande impossibili da evitare: come se la vivevano, nel frattempo, i figli sani? Come stanno, oggi, i figli ancora vivi? E i genitori: come se la sono cavata l’inflessibile Don e la matriarca Mimi, in quegli anni? Che tipo di genitori erano prima e furono dopo? Perché continuare a fare figli anche dopo un susseguirsi di diagnosi catastrofiche già a partire dal primo figlio, e condannare così sei figli alla pena della malattia e gli altri sei alla pena d’essere fratelli di pazienti schizofrenici? Che potesse esserci un intoppo nella genetica della famiglia, non era un’ipotesi sufficiente a scoraggiare ogni obiettivo riproduttivo: come mai? Il libro risponde ad alcune di queste domande.

Un’intervista all’autore

Un paio di voci selezionate dalla rassegna stampa:

L’edizione italiana (e l’occhio pignolo che vuole la sua parte)

Una nota marginale, ma per me irrinunciabile: nel lungo e complicato processo fra traduzione, editing e correzione di bozze, qualcosa dev’essere sfuggito agli occhi degli addetti ai lavori. Nel libro c’è qualche refuso, qui e là qualche frase che non torna. Nulla di imperdonabile, ma, considerata anche la portata dell’iniziativa editoriale, un po’ di attenzione in più non dispiace mai a lettrici e lettori innamorati dei libri e delle cose fatte bene.

In conclusione, Hidden Valley Road è da leggere perché

Il libro mi è piaciuto, in un modo diverso da come mi piacciono altri libri. Consiglio di leggerlo (se il tema interessa) perché è coraggioso, perché fa conoscere di più e meglio una malattia mentale misteriosa e labirintica, perché si impegna a ricostruire senza pietà la storia di una psichiatria, non sempre empatica verso il paziente, che per decenni ha sbattuto la testa su una domanda centrale:

«… la schizofrenia è qualcosa di innato, un disturbo fisico del cervello? O si acquisisce strada facendo perché si è rimasti segnati in qualche modo dalla vita? È natura, o cultura?»

[pag. 45]

Ma adesso, con permesso: io torno ai miei romanzi, amatissimi e – in un altro modo che appartiene solo a loro – veri.

[A proposito di romanzi. La citazione che, sussurrata fra parentesi quadre, completa il titolo di questo articolo viene da un baluardo della letteratura russa: "… ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo" è parte di un incipit troppo famoso (e abusato, e googlato) per subire qui l'umiliazione di una spiegazione e di un nome. Chi legge romanzi non ne ha bisogno]
2 Comments
  • Cristina Piccioni

    1 Novembre 2022 at 1:59

    Questo libro potrebbe piacere ad Andrei! Grazie per la tua recensione!

    • sfogliatine

      1 Novembre 2022 at 14:09

      Ciao Cri!
      Sì, penso che il libro possa incontrare i suoi interessi.
      Grazie per essere passata qui e avermi letto!
      A.